martedì 17 luglio 2018

LA TEOLOGIA DEL FEDERALISMO

Le aspirazioni all'autonomia ed alla cooperazione federalista non possono essere realizzate senza una profonda riforma culturale di paesi come il nostro ancora troppo intrisi di cultura gerarchica, delegante, individualista o collettivista che sia. Le radici del federalismo affondano nella fede biblica e protestante tanto che senza una conversione ad essa, un autentico federalismo è impossibile. Ne parla Leonardo De Chirico, nel numero 59 di Studi di Teologia dedicato alle Ricchezze della teologia dell'alleanza (Padova, 1° semestre 2018). Nell'interessante articolo dal titolo La raggiera culturale della teologia dell'alleanza, dopo aver rilevato come la teologia dell'alleanza sia "la spina dorsale di tutta la rivelazione biblica" De Chirico riflette sulle implicazioni di questa teologia, fra cui quelle politiche nel paragrafo intitolato "Dalla teologia federale al federalismo politico". Riprendo alcune sue argomentazioni che ci danno molto su cui riflettere:

"La ricchezza della teologia dell’alleanza travalica il confine delle relazioni interpersonali, sociali ed ecclesiali. Essa ha anche stimolato il ripensamento dell’architettura istituzionale dello stato. Si capisce allora che il tema del patto non è solo ispiratore di una soteriologia o di un’ermeneutica biblica o di una ecclesiologia particolare. Nelle sue ricadute culturali e pubbliche, è una matrice portatrice di una creatività e di una applicabilità trasversale.

Storicamente, si può sostenere che il federalismo moderno come noi lo conosciamo sia stato elaborato e sperimentato all’interno di una cultura europea e americana profondamente intrisa di protestantesimo. II federalismo moderno è nato con la teologia riformata di Johannes Althusius (1557-1638). Questo non è un dato privo di significato. Il federalismo moderno viene ideato in una cornice religiosa evangelica. Il protestantesimo ha per così dire fornito gli strumenti concettuali e ha costituito l’universo dei valori di riferimento per il suo sviluppo. Tutto ciò ha fatto sì che il protestantesimo sia di fatto diventato la matrice culturale del federalismo. Non l’unica certamente, ma comunque determinante. Questo non è vero solo per quanto riguarda le origini del pensiero federalista, ma anche per quanto riguarda la sua traduzione istituzionale. Il federalismo ha attecchito e funzionato nei paesi di tradizione protestante o comunque con una massiccia presenza protestante. Ancora oggi, quali sono i principali stati ad assetto federale se non alcuni paesi fortemente impregnati di cultura protestante?

Se il discorso sul binomio federalismo-protestantesimo è plausibile, come è possibile parlare di federalismo e soprattutto attuare il federalismo in Italia quando la nostra cultura è stata refrattaria al protestantesimo? Come possiamo attuare riforme in senso federalista se nei nostri geni culturali il cattolicesimo non ha instillato valori come quelli di patto, di libertà, di responsabilità bensì quelli di mediazione che esautora la responsabilità, di delega in bianco e di autoritarismo ecclesiastico? Con questo si vuol suggerire che non basta lottare per una costituzione vagamente federale per avere il federalismo. Senza una cultura giuridica, politica, sociale capace di nutrire il federalismo, una riforma costituzionale in senso federale non servirebbe granché. Sarebbe come avere una bella macchina senza saperla guidare.

Non si può innestare artificialmente il federalismo su una piattaforma che lo respinge culturalmente in quanto ancora impregnata di cultura gerarchica, delegante, individualista o collettivista che sia. Sarebbe un’operazione surrettizia e inconcludente. Ci vuole una cultura diversa, una cultura in grado di reggere il federalismo.

Allora è possibile affermare che la via di avvicinamento al federalismo in Italia ha una strada obbligata, e cioè la scoperta di categorie ideali e valoriali nuove e diverse da quelle che la nostra cultura cattolica ci ha trasmesso. Per il federalismo, l’armamentario culturale italiano è inadeguato, nel suo assetto attuale. Per superare il deficit della nostra cultura cattolica, non bastano nemmeno le istanze autonomiste/localistiche o la protesta anti-centralista o il qualunquismo populista che contesta gli abusi e i soprusi: ci vuole qualcosa di qualitativamente diverso. Per fare il federalismo, bisogna appropriarsi di strumenti che la cultura protestante ha nel tempo affinato: patto trasparente, libertà rendicontabile, responsabilità diffusa, autonomia della comunità locale. Questa è la grande scommessa del federalismo in Italia. La prima, vera riforma necessaria è una riforma spirituale e culturale. Le scorciatoie non portano da nessuna parte. Un discorso analogo vale anche per l’architettura istituzionale dell’Europa".

Tratto dal blog di Paolo Castellina

mercoledì 4 luglio 2018

LA VERITÀ, IL FONDAMENTO DELLA DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA AMERICANA

Di Vishal Mangalwadi

L’America è diventata il faro mondiale della libertà perché i suoi fondatori avevano fatto della Verità la loro autorità suprema. Nella bozza originale della Dichiarazione di Indipendenza (1776), Thomas Jefferson scrisse:

“Noi riteniamo che sono sacre e incontestabili queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati”

Le parole di Jefferson riflettono l’allora consenso intellettuale americano di come il racconto biblico della creazione implichi pari dignità e diritti per ogni essere umano. Questo consenso aveva iniziato a prendere forma quando George Whitefield, il famoso evangelista e rispettato revivalista, aveva iniziato a predicare ai negri. Nel 1740, aveva cominciato a scrivere per spiegare il motivo per cui per la Bibbia i negri sono preziosi al Salvatore proprio come ogni altra persona bianca.

Aver stabilito l’uguaglianza umana come un dogma fondamentale del suo credo ha consentito l’America di onorare, almeno in linea di principio anche se non sempre in pratica, la dignità di ogni essere umano creato da Dio a propria “somiglianza”. La Dichiarazione divenne un patto che sanciva che gli emarginati non sarebbero stati calpestati dai potenti.

Purtroppo durante la redazione della Dichiarazione fu piantato anche il seme dell’attuale declino intellettuale e morale dell’America.

Sotto la pressione di alcuni scettici, la parola scelta da Jefferson “sacre” (cioè rivelate nella Sacra Scrittura) venne mutata in “di per sé evidenti”, come se le grandi idee liberatrici di dignità umana, uguaglianza e diritti umani non fossero state rivelate da Dio, ma derivassero dal “Senso Comune” dell’uomo.

Il Senso Comune era un mito epistemologico inventato dal filosofo scozzese Thomas Reid, e diffuso in America da Thomas Paine. A poco a poco, il mito ha condotto alla protervia laicista che l’uomo potesse conoscere la verità senza rivelazione e, di conseguenza, ciò che non è scoperto dalla ragione umana non può essere vero. Nonostante tale arroganza filosofica, i presidenti americani e monarchi britannici mettevano una mano sulla Bibbia all’atto del loro giuramento di insediamento, perché la civiltà occidentale ha continuato a ricavare i suoi presupposti e valori fondamentali da rivelazione di Dio. Per decenni l’Occidente ha vissuto degli avanzi del passato. Ora che anche quei bocconcini sono diventati difficili da trovare, una carestia intellettuale e morale sta oggi avanzando. Il mondo intero (tranne le élite occidentali) può vedere che il re è nudo.

Ora, però, l’Occidente ha amputato la sua anima, tra cui la Verità rivelata che l’uomo è stato creato con la peculiare dignità di essere a somiglianza di Dio. Il passaggio dalla creazione all’evoluzione, per esempio, ha distrutto ogni base razionale per affermare che l’uomo è qualitativamente diverso dagli animali – che ogni persona è dotata di diritti che non sono costrutti sociali, ma “inerenti e inalienabili”.

Senza Verità, non ci sono oggi motivi per sostenere neanche l’idea di libertà. Senza Rivelazione, l’America non ha nessun modo per stabilire il governo come strumento di giustizia. Ci sono valide ragioni per temere che la voce del popolo sarà sempre più la voce del diavolo e le che forze dello stato diventeranno oppressive mercenarie dell’avidità umana. Non è più azzardato chiedersi: “Diventerà l’America, la nazione più protestante del mondo, un terrore per il mondo nello stesso modo in cui la Germania, la prima nazione protestante, lo è stata nel ventesimo secolo?”Man mano che l’unica superpotenza del mondo procede verso la propria bancarotta e depriva il suo popolo di quelle verità e virtù che l’hanno resa forte e di successo, il mondo ha buone ragioni per farsi prendere dal panico.


Vishal Mangalwadi è autore dei libri The Book that Made Your World, How The Bible Created the Soul of Western Civilization. e This Book Changed Everything: The Bible’s Amazing Impact on Our World Altri articoli di Mangalwadi:

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